Cos’è
quella luce?
Questa è la domanda che i diversi personaggi di questa assurda
commedia di Lodovico Bellè si pongono prima di venirne, di volta in
volta, misteriosamente attratti ed ingoiati per sempre. Solo una
persona ne conosce la risposta: il poeta Canso Baristo che, insieme
alla luce stessa, si impone come il vero protagonista della vicenda;
è l’unico a rimanere costantemente in scena dal primo all’ultimo
atto, pur cambiando ogni volta ambientazione e pur risultando
completamente estraneo agli altri personaggi… sembrerebbe essere al
centro ma, contemporaneamente, anche al di fuori della commedia; una
sorta di osservatore onnipresente che attraversa il tempo e lo spazio
come un’entità aleatoria.
Tuttavia
la sua spiegazione sulla natura della luce, come manifestazione della
potenza generatrice della poesia, viene (forse) smentita da un
epilogo a sorpresa…
I
temi che vengono affrontati (taluni appena sfiorati) in questa
commedia sono molteplici: la distanza abissale tra il mondo
intellettuale e quello opulento degli affari (distinti, anche
materialmente, da una rete che divide a metà lo spazio scenico), la
corruzione politica, l’asservimento nei confronti del potere da
parte dell’informazione mediatica, la parodistica estremizzazione
dei luoghi comuni della commedia borghese, lo smarrimento
dell’elettorato di sinistra dopo la caduta del muro di Berlino, la
tragicomica e spasmodica ricerca di vuote certezze in fede e
superstizione, ecc.. il tutto condito da innumerevoli spunti
metateatrali di sapore manierista aretiniano; così come di sapore
aretiniano sono la scurrilità e le “sconcezze” che si susseguono
a partire dal prologo, fino alla fine dell’epilogo.
Lodovico Bellè (www.lodovicobelle.com) è nato a Roma il 17 maggio 1977. Laureatosi in lettere presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi sulla drammaturgia futurista, collabora attualmente con la redazione di alcune riviste, principalmente di carattere sindacale e bilaterale. Oltre a scrivere opere di narrativa, teatro e poesia, è anche autore di quadri e sculture (che lui ama definire “Potacci”).
Nel gennaio 2012 ha fondato l’Allegra Compagnia Degli Assurdi: un gruppo teatrale romano, nato ufficialmente con la rappresentazione dei suoi “Assurdialoghi” al teatro Manhattan di Roma (successivamente replicati con successo - sino ad oggi - in diversi teatri, piazze e locali della capitale e non solo). Sul fronte figurativo, conta al suo attivo diverse mostre personali e collettive.
Il suo stile, da lui stesso definito Potaccismo (ovvero “arte dello scarabocchio”), si basa sull’irruenza dell’impatto visivo, sulla ricerca dello stupore attraverso il trionfo dell’assurdo, del paradosso, dell’ironica ilarità e, molto spesso, della provocazione. La sua tecnica iconografica, vivacemente sprezzante ed orgogliosamente antiaccademica, antepone la forte comunicazione emotiva del messaggio alla tradizionale cura formale.
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